Karukekere è un villaggio molto lontano nel Distretto di Bunda. Ci andiamo spesso per le campagne di prevenzione sulla salute.
Durante il 2018 un nostro medico, la dottoressa Valeria Silvestri, ha deciso di raccogliere alcune storie raccontate dai bambini della scuola primaria e le ha tradotte in italiano. Abbiamo indetto un concorso letterario sul sito web. Attraverso i racconti e le favole, la lettura e la scrittura creativa, si è voluto stimolare la crescita culturale dei ragazzi.
Il vincitore con la storia più bella a dicembre 2018 ha avuto alcuni doni di materiale scolastico ed ha simbolicamente consegnato altri materiali (quaderni, penne,ecc) al preside della scuola per tutti gli alunni.
Qui sotto potete trovare le 3 favole del concorso.
C’era una volta… Tre favole da Karukekere
Raccontate ad Henry Yoggo dai bambini della scuola di Karukekere
Trascrizione Italiana a cura di Valeria Silvestri
Storia n. 1
Mzee Jokopay Magego e la vendetta delle api
Era una bella giornata fresca e gli uccelli cinguettavano le loro melodie, volando all’impazzata nel fitto intrigo di rami per scovare qualche cibo da becchettare. Il clima in quei giorni era mite e piacevole. Come ogni mattina, il villaggio tutto di era alzato alle prime luci dell’alba. Tutti si erano lavati il viso e poi, felici avevano imbracciato la vanga e i rastrelli ed erano andati a lavoro, nei campi. Lungo la strada i miei genitori ed io abbiamo incontrato un uomo molto vecchio. Ci siamo fermati e lo abbiamo salutato, perché la saggezza, frutto che matura sui rami dei giorni passati, è uno di quei doni del tempo che merita rispetto, nel mio Villaggio. Arrivato il momento dei saluti, il vecchio signore ci ha confessato che in verità era diretto verso la nostra capanna, che voleva farci visita. Subito abbiamo fatto marcia indietro, tornando a casa. “Corri alla capanna a mettere su il porridge!” ha detto mio padre. Corsi lungo la strada più veloce del vento, così come mi aveva detto, e quando arrivarono camminando piano lungo il vialetto di terra rossiccia, trovarono me con le tazze di porridge preparato di fresco. Li ho invitati a sedersi e ho dato a ognuno una bella porzione abbondante, orgoglioso di fare gli onori nella mia capanna. Il vecchio ha finito di bere con uno schiocco di labbra. Poi ha alzato gli occhi dalla tazza e ha detto:
“Però non mi avete ancora dato il benvenuto! Quando arriva un ospite gradito, si cucina per lui una gallina grossa, e l’ugali per accompagnarla a perfezione!”. Mio padre annuì con la testa: il vecchio aveva ragione. “Corri e prendi la gallina più grossa che razzola intorno al giardino”. E così ho fatto.
Quando il volatile fu cotto a puntino, e il profumo arrivato fino all’altra sponda del lago Vittoria, abbiamo chiamato tutti per venire da noi, per sederci insieme e goderci La Gallina più Grossa. Una vera festa! Era tutto molto buono e il vecchio non smetteva di lodare la tavola.
“È dolce come il cioccolato!” continuava a ripetere tra un boccone e l’altro. Dopo il banchetto tutti avevano la pancia piena. A quel punto il vecchio alzò di nuovo gli occhi e disse a mio padre: “Vorrei un posto dove fare un riposino”. Subito gli ho mostrato la strada, e l’ho lasciato lì, a fare il sonnellino. Era stanco il vecchio, molto stanco. Quando si svegliò chiamò mio padre: “Adesso è ora che io faccia ritorno al mio villaggio”, ha detto con gli occhi acquosi del tempo che passa. “Ma prima che io vada via, ci dobbiamo presentare”, aggiunse. È così che hanno scoperto che mio padre era il figlio della sorella del vecchietto: avevamo ospitato suo zio! “Grazie di cuore, caro figlio di mia sorella! Tu, che mi hai ospitato senza conoscermi!! Prima di conoscere le nostre comuni radici … grazie ancora, caro figlio di mia sorella! Ti ripagherò per la tua ospitalità, un giorno. Ma oggi non ho con me il dono che posso darti. Portami a casa, adesso”. Mio padre lo accompagnò indicandogli la direzione che portava al suo villaggio, e salutammo il vecchio. Lungo la strada che lo riportava a casa Mzee Jokopay Magego, (così si chiamava il vecchietto) incrociò due giovani.
“Giovani, avete per caso due scellini per aiutarmi?”. I due vandali per tutta risposta cominciarono a picchiarlo. “Giovanotti, il fuoco brucerà le vostre teste… lo vedo già!!!”. E minacciava con la mano, acciaccato sul viottolo di sabbia rossa. Quando i due giovani arrivarono al villaggio più vicino, uno sciame fitto di api comparve dal nulla, con un ronzio forte da tapparsi le orecchie. Le api cominciarono a pungere tutti i passanti. C’era una gran confusione, e la voce della gente faceva a gara col ronzio delle api per essere più forte. Nel villaggio a quel punto passò un giovane “Perché è successa questa cosa?” E poi “Da dove vengono tutte queste api? “ “Non lo sappiamo Mzee Jamondo”, risposero tutti. “Ohhh!” pensò tra sé e sé Jamondo, preoccupato. “Queste devono essere le api di Mzee Jokopay Magego!”. E lungo la strada infatti incrociò il vecchio che ritornava lento verso il suo villaggio. “Le api che stanno pizzicando le persone del villaggio sono tue, Mzee Jokopay Magego? Perché le nostre api, a Karukekere, non sono come queste …” disse al vecchio che camminava piano. “Si. Devono essere puniti!”. “Per cosa? Mzee Jokopay!”, ha risposto il giovane. “Perché ho incontrato due giovani e gli ho chiesto due scellini, per aiutarmi, e loro mi hanno aggredito e picchiato”, continuò a camminare Mzee Jokopay, borbottando.
“Scusa, solo due scellini hai chiesto?” “Si, per due scellini.” “Prendine diecimila e perdonali!” Le api sparirono come per magia. Poco dopo vedemmo il vecchio tornare verso casa. E diede i diecimila scellini a mio padre, per mantenere la promessa della ricompensa, che gli aveva fatto. L’uomo quindi sparì come un fantasma, e da quel giorno non lo abbiamo più visto. Ma io non ho più dimenticato il vecchio. Io, ero uno dei passanti del villaggio pizzicato dalle api. Questa storia ci insegna a rispettare tutte le persone, che siano anziane o giovani e a accogliere tutti quelli che ti onorano di una visita. Il nostro villaggio si chiama Karukekere, ed è nel distretto di Bunda. E questa è una delle sue storie.
Storia n. 2
Kwenya l’astuto e il terribile
Chacha
C’era una volta in Tanzania un villaggio chiamato Majita, il cui capo era il saggio Amad. Nello stesso villaggio abitava, in quel tempo, un terribile ladro, di nome Chacha. Non c’era casa risparmiata dal delinquente ed ogni nuovo giorno da una parte o dall’altra del villaggio si sentivano sospiri di disperazione e rabbia: a chi avevano rubato una gallina, a chi una capra. Il pescatore del villaggio era rimasto senza reti un giorno e la mattina lo avevano trovato lì, che urlava imprecazioni davanti al lago Vittoria, un po’ increspato dal vento e un po’ dagli strilli inconsolabili del vecchio che non poteva andare a lavorare. Il saggio Amad decise che era giunto il momento di mettere un punto alle razzie del terribile Chacha, e radunò tutti gli abitanti di Majita, per decidere insieme cosa fare. In circolo sulla terra bruna davanti alla chiesa del villaggio, Amad si alzò e con cadenza solenne, guardando a uno a uno i partecipanti di quella riunione urgente annunciò: “Chi di voi riuscirà a catturare Chacha il Terribile, avrà una ricompensa”.
Quale sarebbe stato il premio per l’eroe in grado di compiere l’impossibile impresa, era un segreto anche per la grossa Mami, seduta in silenzio a staccare le teste ai minuscoli pescetti di lago, che avrebbe ridotto in pastella grigia per la cena dei suoi bambini. E alla grossa Mami, dall’aria disinteressata e con lo sguardo astutamente perso nella bacinella dei pesci, non sfuggiva davvero niente! Ora, tutti sanno che ogni villaggio vanta dei giovani valorosi. I giovani più forti di Majita si chiamavano Rojas, Wigoba e Kwenya. L’ultimo, il furbissimo Kwenya, aveva diciotto anni e le voci sulla sua abilità nel catturare i ladri più cattivi erano arrivate fino ai villaggi al di là della sponda lontana del lago Vittoria, che gli occhi non arrivavano a vedere, per quanto erano lontani. Ognuno dei tre giovani aveva un piano per catturare il terribile Chacha. Il primo dei tre, Rojas l’Ingannevole aveva pensato di attirare Chacha nella sua casa, con un tranello. Lo avrebbe ingannato fingendo di essere suo amico e poi, una volta ottenuta la sua fiducia, Zac! lo avrebbe preso in trappola! Sfortunatamente Chacha intuì l’inganno . “Volevi ingannare il re della truffa, stupido falso amico! E adesso mi prendo tutte le tue proprietà!”. Così dicendo malmenò Rojas, sconfitto sul pianerottolo della sua stessa casa.
Fu il turno di Wiboga. “Lascerò aperta la porta di casa!” pensò il giovane. E quando Chacha sarà entrato la chiuderò e griderò per chiamare tutti gli abitanti del villaggio, compreso il Capo. Ma nell’entusiasmo del suo piano Wiboga aveva parlato a voce alta. Ora, tutti sanno che tenere le orecchie bene aperte può salvarci le penne, a volte. Conoscere le cose è sempre un vantaggio rispetto all’ignorarle. Ovviamente lo sapeva anche il furbissimo Chacha, le cui orecchie erano all’erta per catturare ogni piccola informazione che potesse riguardarlo, per sfuggire agli sforzi di tutti quelli che si ingegnavano in mille modi per catturarlo. E origliando, l’attentissimo Chacha riuscì a fuggire anche dal piano di Wiboga. Il povero Wiboga le prese anche lui di santa ragione. Quindi fu il turno di Kwenya l’astuto. Decise di scavare una buca davanti all’uscio di casa. Quando il delinquente entrò, Kwenya si limitò a dire al ladro: “ Chacha, ti abbiamo catturato!!!”. Il ladro corse veloce come un fulmine in direzione della porta e… cadde nella buca.
Kwenya chiamò quindi tutti gli abitanti del villaggio, compreso il capo e Chacha fu catturato. Questa storia ci insegna che gli obiettivi importanti vanno inseguiti con un tocco di silenziosa e saggia segretezza e che con silenzio e determinazione bisogna lottare contro ciò che insidia le cose a noi più care.
Storia n. 3
Quanto vale un amico?
C’erano una volta, in un villaggio lontano chiamato Nkuhungu, due bambini di nome Dozen e Edam. I due erano grandi amici e il loro passatempo preferito era andare a caccia di animali, come maialini, uccelli e altre piccole bestiole selvatiche. Un giorno, mentre erano a caccia, Dozeni intravide un bel maiale grassoccio in un cespuglio. “Prestami il cappio, presto!” disse ad Edam. Ma il maiale riuscì a scappare con tutto il cappio. “Rivoglio il mio cappio!”, ripeteva Edam tutti i giorni, sconsolato per aver perso il suo strumento di caccia. E i genitori di Edam : “Ridagli il suo cappio!”.
Dai oggi, dai domani, a Dozen non rimase altro che di andare a cercare cappio e maiale. Il giorno seguente si incamminò. E passarono sei giorni e sei notti. E il settimo giorno arrivò in una casa nel bosco. La casa era abitata da un nonno, bassino bassino, tanto vecchio da aver perso tutti i capelli ricciuti della gioventù. “Perché sei arrivato fin qui, figliolo?” disse il vecchio. “Cerco un maiale scappato col cappio del mio amico” disse Dozeni. E spiegò al vecchio tutta la storia della caccia agli animali, del cappio e del maiale che era scappato portandosi via l’attrezzo da caccia di Edam, che da quel giorno non gli dava pace. Il vecchio ascoltava in silenzio. Quando Dozeni ebbe finite il suo racconto, l’anziano signore si alzò e andò a rovistare tra le cianfrusaglie che aveva ammonticchiate in un angolo della capanna. Tornò con una palla e con tre bottiglie: una infuocata, una piena di acqua ed una terza bottiglia piena di fango. Diede anche da mangiare a Dozeni e mentre questo, stanco, faceva del suo ugali grossi bocconi, il vecchio spiegava come usare i suoi tre doni. “Ma attento”, si raccomandò alla fine, puntando la piccola sfera. “La piccola sfera non dovrai prestarla mai!”. Il mattino seguente Dozeni proseguì il suo viaggio alla ricerca del maiale. Arrivato nel bel mezzo di una radura, trovò la bestia che gozzovigliava nel fango. Avvicinatosi, Dozeni vide che il maiale aveva addosso il cappio di Edam. Ma i maiali, indispettiti, gli si rivoltarono contro.
A quel punto Dozeni, impaurito, cominciò a correre. Ricordatosi dei doni del vecchio, lanciò nella corsa ad una a una le bottiglie:
Quella di fuoco: niente!
Quella di acqua: niente!
Ma lanciata la terza bottiglia di fango, i maiali si fermarono a gozzovigliare, e non lo inseguirono più. Grufolando il maiale perse il cappio nella pozza, e Dozeni corse a recuperarlo, come una freccia. Tornò a casa pieno di fango ma felice di poter restituire all’amico l’oggetto che gli era stato rubato.
“Come sono felice!” diceva Edam. Ma un giorno Dozeni si ricordò del quarto regalo del vecchio: la sfera magica. “Voglio giocare anche io!” disse Edam.
“Non puoi!” rispose Dozeni, ricordando l’avvertimento del vecchio. Edam non volle sentire ragioni. E Dozeni non seppe dire di no. Gioca e rigioca, accadde che Edam inghiottì la palla. “Ridammi la palla Edam!” disse Dozeni. E insistette tanto, quanto aveva insistito l’amico per riavere il cappio rubato dal maiale. “Ridammi la palla!” continuava a ripetere, giorno e notte. E non si dava pace. I genitori di Edam, che non sapevano più come rimediare al torto, non riuscirono a pensare ad altro che aprire la pancia di Edam, per restituire il debito all’amico. E fu così che la vita di Edam finì.